Il Napoli nel corso della sua storia calcistica si è confrontato con squadre economicamente più forti basandosi su due fattori principali: gli incassi ai botteghini e la valorizzazione dei giovani fatti in casa (Juliano, Ferrara e Cannavaro sono solo alcuni esempi). Basta pensare al Napoli dell’86-87, cioè quello del primo scudetto per verificare la bontà di questi due elementi: in ogni partita di campionato, coppa Italia o coppa internazionale il San Paolo ribolliva della passione degli 80.000 e più tifosi che venivano a vedere le gesta di Maradona e compagni. Inoltre quel Napoli che conquistò il suo primo storico scudetto era composto per tre quarti da giocatori napoletani o campani. Oggi gli incassi ai botteghini hanno una valenza minore a causa dell’avvento della pay-per-view. Naturalmente le squadre più blasonate ricevono una percentuale maggiore sugli incassi dei diritti televisivi, e ciò aumenta il divario tra “ ricchi” e “ poveri”. Il Napoli certo non è un “ povero”, anche perché è la quarta squadra d’Italia per bacino d’utenza, ma non partecipa alle coppe Europee e ciò lo priva di visibilità e soprattutto di benefici economici. Quindi il club azzurro nell’attesa di diventare grande deve puntare sui giovani calciatori napoletani evitando di vederli andare via e sbocciare in altre squadre (Montella, Di Natale, Quagliarella e Borriello sono casi emblematici). Napoli è una città che vive di pane e pallone, quindi tra tanti giovani che praticano questo sport Marino e i suoi collaboratori dovranno scovare i nuovi campioni del futuro.
Francesco Ferrara NAPOLICALCIO.NET