Un Napoli da ricostruire.

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Il numero 33 è famoso per essere “gli anni di Cristo”, ma fino a Gennaio è stato anche un numero che alimentava i sogni di una città che da vent’anni non era più abituata al grande calcio, ai palcoscenici che contano. Lavezzi incontenibile. Hamsik cannoniere. Maggio velocissimo. Santacroce in Nazionale. Tutti ispiratori di un Napoli dal gran gioco. Fresco, tonico, pimpante. E la classifica, a fine girone d’andata, mostrava quel 33. Il sorriso si perdeva sulle labbra di tutti. Tifosi e dirigenti. Soprattutto dirigenti. Poi è piombato quel 10, ovvero i punti che il Napoli ha realizzato in quasi tutto il girone di ritorno, a due giornate dalla fine. Una media da far inorridire, che riporta la mente agli anni bui delle retrocessioni. Che fa calare il sipario dei palcoscenici che contano. In questi 4 mesi il Napoli ha perso tutto. Si è dato il benservito al mister Reja, l’allenatore delle due promozioni e della qualificazione in Europa. Tutte sue erano le colpe. Si è puntato su Donadoni, e solo per poco tempo c’è stata l’illusione. E’ durata solo un Napoli – Milan. Poi la luce si è spenta di nuovo, come prima e più di prima. Con in mezzo un’altra inutile parentesi, stavolta con l’Inter. 5 paraggi, 1 vittoria e 3 sconfitte il bilancio attuale dell’era Donadoni. Il mister del “progetto Napoli atto II” già bruciato, ancor prima di partire. Ma gli errori sono stati tanti. Troppi. A cominciare da un mercato estivo che definire sbagliato sarebbe poco. Denis, Rinaudo, Aronica. Poi Datolo, inneggiato come salvatore della patria. Discreti giocatori, ma che non hanno fatto la differenza. E tutti pagati fior di quattrini. Supervalutati. “Notti magiche” erano quelle a cui ci aveva abituati il Napoli lo scorso anno, e anche quello di quest’inizio stagione. Ma da “notti magiche” a “notti brave” il passo è stato breve. La Società non ha saputo frenare le intemperanze di giovani calciatori che la platea di Napoli ha subito elevato da quasi – sconosciuti a campioni. Campioni più presenti per strade e locali che in campo. Campioni che poi, da metà stagione, si sono sentiti in dovere di chiedere aumenti dell’ingaggio e che ora, dopo le prestazioni fornite nella seconda parte del campionato, dovrebbero avere il buon senso di non dir nulla. O forse l’unica cosa che avrebbero dovuto chiedere era una diminuzione, ma questo, nel mondo del calcio, non esiste. I giocatori hanno dato più di una volta l’impressione di scendere in campo con molta superficialità, senza voglia, senza attaccamento alla maglia e questo non è giustificabile solo con la mancanza di motivazioni. Il Napoli non insegue un obiettivo da più di due mesi, ma l’arrivo del nuovo tecnico avrebbe dovuto dare una scossa. I 10 punti hanno tolto il sorriso a tifosi e, chissà, forse anche ai dirigenti. Ma questo non ci è dato sapere, perché si compare dinanzi ai microfoni solo quando si vince. “Sapevo che questo è un grande Napoli”, disse Pier Paolo Marino subito dopo il successo contro l’Inter. Poi nulla più. Il Napoli non può restare questo se vuole raggiungere i traguardi che gli competono. E che i tifosi meritano. Una società nata appena 4 anni fa, già da ricostruire: organigramma, parco giocatori e soprattutto credibilità. Come direbbe il Patron : “Work in Progress”.

Vincenzo Mugione NAPOLICALCIO.NET

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