Udinese, ovvero come far bene anche in provincia.

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Di recente il calcio italiano ha raccontato di gloriose società perennemente in crisi di risultati, lontane dai fasti del passato, alcune addirittura tristemente fallite e costrette a ripartire da categorie a loro non consone. Il Napoli ne sa qualcosa, ma la caratura tecnica raggiunta negli ultimi anni è il segno tangibile della rinascita. Vicende simili hanno accostato Fiorentina e Genoa, altre grandi piazze deturpate dall’onta della Serie C. Se però l’occhio si posasse un po’ più in provincia, ecco trovare due splendidi esempi di progettualità, lungimiranza, stabilità. Rappresentano una delle aree più ricche del Paese, quel Nordest ricolmo di industrie, imprenditori e benessere. Chievo e Udinese sono il fiore all’occhiello della semplicità, basta davvero poco per raggiungere insperati traguardi. Se i clivensi sono l’espressione di un successo abbastanza recente, i friulani invece fanno scuola da ormai tre lustri. Eppure il club bianconero ha un passato alquanto travagliato, costellato da pochi inserti di gloria. Sorta nell’ormai lontano 1896, l’Udinese ha fatto più volte il saliscendi tra la serie maggiore e la cadetteria, fino agli anni Ottanta, quando si fregiò di un acquisto strabiliante, quello di Zico. Grazie al brasiliano, in Friuli si vissero stagioni d’oro, ma il rapporto tra la stella sudamericana e i bianconeri si concluse malamente. Proprio in quel periodo faceva la sua comparsa Gianpaolo Pozzo, attuale patron della società, che dopo una fase di rodaggio, cominciò ad investire in maniera saggia e oculata, conducendo alla ribalta del football nostrano la sua creatura. Fu così che, grazie a tecnici innovativi quali Zaccheroni e Spalletti, e indiscussi campioni come Bierhoff e Marcio Amoroso, l’Udinese si piazzò stabilmente nei primi posti in classifica, raggiungendo l’Europa senza grosse difficoltà. Di quella macchina perfetta faceva parte anche Pierpaolo Marino, che ha provato a ripetere i fasti friulani all’ombra del Vesuvio. Altro grande ex è Fabio Quagliarella, esploso con la Sampdoria e confermatosi alla corte dell’altro Marino, quel Pasquale che guida i bianconeri per la terza stagione consecutiva. Dopo gli elogi della prima annata, il mister trapanese ha rischiato più volte l’esonero nell’ultimo campionato, quando la sua squadra ha vissuto una profonda crisi di gioco e risultati, simile a quella che attanagliò il Napoli di Reja. L’organico a disposizione di Marino è di tutto rispetto e ben si adatta allo schema di gioco preferito dall’allenatore siculo, un 4-3-3 espressamente offensivo. Confermato Samir Handanovic tra i pali, la linea arretrata si arricchisce di due elementi di spicco, Zapata e Felipe, ricercatissimi da diverse compagini. Coda, Isla e il discusso ex Domizzi completano il reparto, mentre pochi metri più avanti troviamo quel Gaetano D’Agostino, vicinissimo quest’estate a vestire un’altra casacca bianconera, quella della Juventus. Da non dimenticare Inler, punto fermo della nazionale svizzera, a cui si aggiungono due neo arrivi di notevole caratura, Sammarco dalla Sampdoria e Lodi dall’Empoli. Il fantasista napoletano è il fiore all’occhiello dell’ultima campagna acquisti, giunto a poche ore dalla conclusione delle contrattazioni, e rinvigorisce la folta colonia partenopea in Friuli, orfana di Quagliarella. Di Natale e Floro Flores, infatti, sono i punti fermi dell’Udinese, con il giovane attaccante splendidamente a segno domenica scorsa contro il Catania. È però il piccolo Totò il vero simbolo della squadra, capitano e goleador, con già 6 reti all’attivo in sole tre giornate di campionato. Più volte De Laurentiis ha cercato di portarlo a Napoli, ma la famiglia del giocatore non vedeva di buon occhio il ritorno a casa. Le alternative in attacco non mancano: Pepe e Sanchez sono due peperini infaticabili, capaci di ritagliarsi spazio anche nelle rispettive nazionali. E poi c’è Bernardo Corradi, giunto dalla Reggina, bomber non più giovanissimo ma che può portare in dote tutto il suo bagaglio esperenziale. Sarà una brutta gatta da pelare per Donadoni, ma rispetto allo scorso anno le preoccupazioni sono minori, anche perché quel genio di Quagliarella, che illuminò il San Paolo con una magia delle sue, guadagnandosi l’applauso scrosciante di tutto lo stadio, adesso è il perno offensivo degli azzurri.

Aurelio Scandurra NAPOLICALCIO.NET

 

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